di Loris Zevrain
Il 6 dicembre 2021 presso la Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera si è tenuta la conferenza “Japan and International Migration: Recent Developments, Emerging Dynamics – COVID, Migration, and Nationalism in Japan” a cura della Dottoressa Nana Oishi, Professore Associato di Studi Giapponesi presso l’Università di Melbourne. Oishi ha conseguito un dottorato di ricerca in Sociologia presso l’Università di Harvard e, in passato, ha lavorato come Policy Analyst presso l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) a Ginevra e ha insegnato alla Sophia University di Tōkyō come Professore di Sociologia. I suoi campi di ricerca vertono sulla migrazione, l’integrazione sociale, l’assistenza sociale, D&I (diversità e inclusione) e la questione gender in Giappone e Australia. È stata inoltre insignita, tra gli altri, del premio ISS-OUP Prize 2019 per la categoria Modern Japanese Studies.
L’indagine condotta dalla Dott. ssa Oishi sulla migrazione qualificata e la migrazione di investitori e imprenditori nelle aree regionali del Giappone è finanziata dalla Toyota Foundation e si focalizza principalmente sulle piccole realtà in quanto, ad oggi, sono quasi 900 i comuni che in Giappone stanno scomparendo a causa dell’invecchiamento della popolazione, tratteggiando così il fenomeno come estremamente grave.
Questo articolo si basa sul contenuto della conferenza, nella quale la Dott. ssa Oishi ha evidenziato tre punti chiave:
- gli impatti del COVID sulla migrazione e le conseguenti risposte dei governi giapponesi;
- il legame esistente tra nazionalismo e migrazione, tema affrontato analizzando i principali cambiamenti nei discorsi pubblici sulla migrazione;
- e infine, il fenomeno migratorio nel Giappone post-COVID, questione trattata con il supporto dei risultati della ricerca quantitativa di prossima pubblicazione a cura di Oishi e di A. Igarashi, in cui si mostra la relazione positiva tra nazionalismo e sentimenti favorevoli alla migrazione nelle aree regionali.
I discorsi mutevoli sulla migrazione in Giappone
In un sondaggio internazionale del 2013 la popolazione giapponese ha risposto decisamente in modo positivo alla domanda se il numero di migranti sarebbe dovuto aumentare all’interno del Paese, facendolo classificare secondo su un totale di 32 paesi. Al 2020, nonostante l’esperienza del COVID, l’opinione pubblica è rimasta molto alta con un 68% della popolazione favorevole alla maggior presenza di migranti a fronte di un 27% contrario. In particolare, la Dott. ssa Oishi ha posto l’accento su due ricerche accademiche recenti: quella di Kage et al. (2021 – dati raccolti nel 2016), di cui sottolinea che oltre il 60% degli intervistati è favorevole ad aprire le porte ai migranti; e quella di Sawut (2021), un sondaggio online del marzo 2020 su un totale di 1.837 cittadini giapponesi in cui il 69.8% dei partecipanti ha espresso il proprio favore nei confronti di una promozione dell’insediamento a lungo termine dei migranti qualificati e delle loro famiglie, il 58.2% ha affermato la necessità di conferire i diritti politici ai residenti permanenti e il 56.3% ha dichiarato che gli stranieri dovrebbero essere considerati “immigrati” i cui figli e discendenti abbiano la possibilità di vivere in Giappone in modo permanente.
Il Giappone ha attualmente 2.9 milioni di migranti nel Paese, ovvero il 2.3% della popolazione. Nel 2020, a causa del COVID, il numero è risultato essere in calo rispetto all’anno precedente ma, se consideriamo la sola migrazione qualificata, questa ha continuato ad aumentare poiché il governo ha continuato a permettere l’accesso ai migranti qualificati, che sono diventati così delle vere e proprie eccezioni alla chiusura delle frontiere. Per quanto riguarda invece l’origine dei migranti residenti nel Paese, i cinesi (27%) sono ancora il gruppo più numeroso (seguiti da coreani e vietnamiti, entrambi al 15%) ma, se si considera l’origine degli 1.7 milioni di lavoratori stranieri, i vietnamiti (25.7%) costituiscono il gruppo più corposo, seguiti dai cinesi (24.3%), i filippini (10.7%), i brasiliani (7.6%) e, infine, i nepalesi (5.8%).


La chiusura delle frontiere e gli impatti del Covid19 sui migranti
A partire dal mese di febbraio 2020, le frontiere giapponesi sono state gradualmente chiuse a causa della pandemia e a luglio il Kantei ha ideato due binari per la realizzazione del processo di riapertura: la cosiddetta Residence track per i soggiorni a medio termine come quelli di studenti internazionali e stagisti tecnici e la Business track per i soggiorni a breve termine come quelli dei viaggiatori d’affari. Nell’ottobre 2020 le frontiere sono state riaperte a tutti i titolari di visto, salvo essere nuovamente chiuse a fine dicembre a causa dell’aumento dei casi di Covid19. Nel gennaio 2021 è stato poi dichiarato lo stato di emergenza e l’intero processo di migrazione è stato momentaneamente sospeso, eccezion fatta per i coniugi e i figli di cittadini giapponesi e per gli atleti e il personale delle Olimpiadi 2021 di Tōkyō. Nell’ottobre 2021 il governo ha deciso di sospendere gran parte delle restrizioni all’entrata, ma solo il 2 dicembre, a causa della preoccupazione per la variante Omicron, è stata sospesa nuovamente la migrazione per un mese. Ovviamente, per quanto riguarda gli ultimi due anni, i dati riguardanti la migrazione sono fluttuati a seconda dell’apertura o chiusura delle frontiere e, se a febbraio 2020 erano più di 1.000.000 le persone che venivano in Giappone, a marzo si erano ridotte a sole 200.000.
L’impatto principale del Covid19 sui migranti ha a che fare principalmente con la disoccupazione, la sottoccupazione e le difficoltà finanziarie. Come sottolineano Asato (2021), Kato (2021), Slater (2020) e Tran (2020), molti di loro sono stati costretti a orari di lavoro ridotti o hanno perso il lavoro senza però avere la possibilità di tornare a casa per il numero ridotto di voli, il forte aumento delle tariffe aeree o per le restrizioni alle frontiere dei loro paesi d’origine. Anche le ONG e le ONLUS hanno avuto diverse difficoltà nel fornire sostegno ai migranti nell’ambito dello stato di emergenza, soprattutto a causa della diminuzione delle donazioni. Il governo giapponese si è mosso per assistere questa fetta di popolazione rinnovando ed estendendo il visto dei titolari di “visto di breve durata”, che non hanno potuto tornare a casa, e fornendo supporto ai cosiddetti “stagisti tecnici”, che avevano perso il lavoro, e agli studenti internazionali laureati, le cui offerte di lavoro erano state annullate per via del COVID, attraverso le cosiddette “attività designate” della durata di un anno per lavorare in 14 settori con visto per lavoratori qualificati. Inoltre, l’Agenzia per i servizi di immigrazione si è impegnata nell’offrire servizi di abbinamento del lavoro.
Il Kantei, a differenza di altri governi, ha anche investito ingenti somme in sostegni economici per quelli che possono essere chiamati “migranti temporanei”. Ad esempio, per i migranti e le loro famiglie è stato autorizzato un pagamento speciale in contanti di 100.000¥ a persona, un pagamento extra per le famiglie monoparentali, piccoli prestiti o, ancora, 100.000¥ per ogni nucleo familiare dei richiedenti asilo.
Tuttavia, il governo nipponico ha dimostrato anche alcune criticità. Infatti, per quanto riguarda i migranti irregolari, circa 83.000 nel Paese, questi non sono coperti dal pacchetto finanziario governativo, ma possono ricevere vaccinazioni e servizi medici gratuiti. Oltre a ciò, la fornitura tempestiva di informazioni multilingue è un’altra delle sfide più ardue per il governo. Quest’ultimo fornisce le informazioni in 18 lingue diverse (fattore sorprendente rispetto a soli dieci anni fa), ma molti comuni devono aspettare che il governo nazionale provveda alle traduzioni, il che può avvenire in diversi mesi. Per questo motivo, a volte, ricorrono a strumenti come Google Translate che non solo compromette la precisione delle informazioni, ma crea anche traduzioni “non ufficiali” che fomentano la confusione. Nonostante questo problema comunicativo, è interessante notare l’impegno di alcune municipalità. Dal 2019 la Dott. ssa Oishi è in comunicazione con due municipalità di circa 5.000 abitanti nell’Hokkaidō, le quali forniscono ai residenti informazioni relative al Covid19 in cinque lingue diverse, facendo del loro meglio per tradurle da sé. Ciò che è particolarmente sorprendente è che i funzionari di queste cittadine hanno visitato ogni casa di residenti stranieri che non avevano fatto richiesta del pagamento in contanti di 100.000¥ per fornire supporto burocratico. In questo modo, ciascun residente straniero oltre ad aver ricevuto il pagamento, si è sentito parte integrante della comunità. I funzionari impegnatisi in questa attività sono essi stessi migranti impiegati presso il municipio, i quali svolgono il ruolo di intermediario cercando di aiutarsi a vicenda consapevoli del disagio dell’aver a che fare con documentazioni non nella propria lingua.
L’inclusione sociale dei migranti temporanei
Sono molte le persone convinte che il Giappone bistratti i migranti, tuttavia, non bisogna dimenticare che il Paese, a differenza di altri come l’Australia, fornisce ai migranti temporanei un’assicurazione sanitaria nazionale per i residenti che vi soggiornano per più di tre mesi, prestazioni pensionistiche nazionali, assegni per l’infanzia e istruzione pubblica gratuita (mentre in Australia il costo dipende dal visto e dallo Stato). Ciò non significa che il Giappone sia un paese privo di discriminazione nei confronti dei migranti, di fatti, in un sondaggio del 2017 del MOJ, il 30% di questi ha affermato di aver subito discriminazioni e il 39% ha affermato di aver subito discriminazioni di carattere abitativo. Tuttavia, queste sono percentuali che si avvicinano a quelle di altri paesi avanzati come l’Inghilterra dove, secondo uno studio dell’IM del 2018, il 43% delle minoranze subisce regolarmente discriminazioni e il 58% si sente svantaggiato nella carriera.
Per quanto riguarda il prossimo futuro della migrazione in Giappone, la Dott. ssa Oishi si è soffermata su uno studio di Liu-Farrer (2020) secondo cui sempre più migranti sceglieranno il Giappone, specialmente gli studenti internazionali dall’Asia, a causa delle opportunità di lavoro, del limitato razzismo anti-asiatico e delle tasse scolastiche relativamente basse. Parallelamente, il Kantei continuerà a dare un forte impulso alla migrazione a causa del rapido invecchiamento della popolazione locale e, a riprova di ciò, proprio in quest’ultimo periodo (novembre 2021), il governo sta lavorando a un piano per concedere un permesso di lavoro illimitato nel tempo e il diritto al ricongiungimento familiare per determinati lavoratori qualificati in più di 2 settori (edilizia e spedizione). Inoltre, questo impegno nel promuovere l’agenda dell’integrazione è dimostrato anche dal budget del 2021 di 140.7 milioni di euro sui Servizi Multiculturali.

Migrazione e nazionalismo in Giappone
In molti paesi industrializzati il nazionalismo è spesso associato a sentimenti anti-migranti, in Giappone invece, la tendenza alla crescita del fenomeno del nazionalismo è parallela al sempre maggior favore del pubblico alla migrazione. Dando un’occhiata al sito web di Nippon Kaigi, la più potente organizzazione nazionalista del Paese con un’enorme influenza sul governo, l’anti-migrazione non è parte dell’agenda politica principale. Certo, non si può dire che l’organizzazione sia favorevole ad essa, ma la contrapposizione si limita alla sola acquisizione da parte di stranieri di immobili vicino a posizioni strategiche e altre questioni minori.
L’ipotesi principale sulla causa di questo fenomeno non convenzionale è che i nazionalisti giapponesi che vivono nelle aree in forte crisi demografica percepiscano positivamente la migrazione poiché si preoccupano del futuro della loro comunità e nazione. Le aperte politiche migratorie del Giappone costituiscono un nazionalismo economico e il Kantei, le corporazioni e i cittadini accettano la migrazione come una necessità per soddisfare gli interessi nazionali, come ad esempio la prosperità economica a lungo termine e la sostenibilità dei sistemi sociali. A riprova di ciò, si può far riferimento ai dati dell’indagine pubblica sulla partecipazione politica dei cittadini e sull’internazionalizzazione, un’indagine del 2017 su un campione di 3880 persone. Alla domanda “Cosa pensi che accadrà se aumenterà il numero di stranieri che vivono in Giappone?” agli intervistati è stato chiesto di esprimere un parere su una scala da 1 (non sono d’accordo) a 5 (sono d’accordo) su cinque ipotesi: 1) i migranti potranno contribuire positivamente alla società giapponese; 2) i migranti potranno minare la cultura giapponese; 3) i migranti potranno togliere lavoro ai giapponesi; 4) i migranti potranno aumentare i costi della sicurezza sociale; 5) i migranti potranno aumentare il tasso di criminalità. Sorprendentemente, i nazionalisti nelle aree che hanno subito un calo della popolazione del 10% o più tendono a credere che un numero crescente di migranti contribuirà positivamente alla società. D’altra parte, le persone che vivono nelle aree che hanno vissuto invece una crescita del 10% o più della popolazione tendono a valutare negativamente i contributi dei migranti, ma anche in questo caso non in modo estremo, infatti, la maggior parte delle persone si trova nel mezzo.
Riflessioni conclusive
Mentre il concetto di migrazione sembra opporsi a quello di nazionalismo, le persone che amano la loro nazione e si preoccupano veramente del suo futuro a lungo termine la supportano poiché è una delle pochissime opzioni rimaste per la sostenibilità e la crescita economica della nazione. Secondo la Dott. ssa Oishi, il nazionalismo non è sempre rivolto all’interno, può essere infatti trasformato esteriormente dagli interessi economici della nazione e dalla sua struttura demografica (nazionalismo economico strutturale). In questo momento storico in cui il Giappone si sta gradualmente diversificando, l’invecchiamento della popolazione, convenzionalmente considerato una maledizione, potrebbe al contrario rivelarsi una benedizione dando al Paese l’opportunità di trasformarsi in una società più aperta e multiculturale.