di Daniele di Franco

Il nome Aikidō è formato da tre caratteri sino-giapponesi: 合 (ai), 氣 (ki), 道 () la cui
traslitterazione è la seguente:
– 合 (ai) significa ‘armonia’ e ‘unione’.
– 氣 (ki) è dato dall’ideogramma giapponese che simboleggia il “vapore che sale dal
riso in cottura”.
Il riso, nella tradizione giapponese e non solo, rappresenta le fondamenta della
nutrizione e quindi l’elemento del sostentamento in vita. Mentre il vapore volge a
rappresentare l’energia sotto forma eterea e quindi quella particolare energia cosmica
che aleggia in natura e che per l’uomo è vitale. Dunque, possiamo dire che il ‘ki’ è
l’energia cosmica che sostiene ogni cosa. L’essere umano è vivo finché pervaso dal
ki’ in costante commutazione con la natura a lui circostante. Privato del ‘ki’, l’essere
vivente cessa di esistere e fisicamente si dissolve.
– 道 ( ) indica ‘ciò che conduce’ nel senso di ‘disciplina’ dal punto di vista di un
‘percorso’ da compiere, una sorta di cammino fisico, ma anche spirituale.

Pertanto, la parola 合氣道 (ai-ki-dō) va a denotare la «Disciplina che conduce all’unione ed
all’armonia con l’energia vitale e lo spirito dell’Universo».

Finalità dell’Aikidō

Come afferma il fondatore dell’Aikidō, Ueshiba Morihei:
«La vittoria su noi stessi è l’obiettivo primario dell’addestramento. Ci concentriamo sullo
spirito piuttosto che sulla forma, sul nocciolo piuttosto che sul guscio».
L’obiettivo dell’Aikidō è il Masakatsu Agatsu Katsuhayabi (正勝 吾勝 勝速日).
Prima di addentrarci nella spiegazione di questo concetto fondamentale per la pratica
dell’Aikidō, vorrei concentrarmi sulla spiegazione etimologica del termine:
Masakatsu (正勝), ‘corretta vittoria’
Agatsu (吾勝), ‘vittoria su sé stessi’. Questa vittoria interiore solitamente è resa possibile
tramite un allenamento fisico accompagnato ad una profonda conoscenza della propria
natura.
Katsuhayabi (勝速日), equivale ad ‘il rapido arrivo del giorno della vittoria’. Dopo aver
compreso e mutato il nostro ‘Io’ interiore, possiamo acquisire il Katsuhayabi ovvero la
capacità di gestire qualsiasi attacco di un potenziale avversario al fine di raggiungere la facoltà della rinuncia al confronto, ossia il superamento del conflitto attraverso il disimpegno
dall’antagonismo e dal combattimento stesso.

Semplificando il tutto possiamo affermare che questo termine, come l’etica dell’Aikidō stesso, persegue una tipologia di difesa volta a vanificare l’attacco dell’avversario, controllandone le azioni fin dal momento del loro insorgere senza causare il minimo danno a sé stessi o al proprio opponente. Questo evidenziato ‘intento pacifista’ non è altro che la base del principio di non contrapposizione. Esso però, non consiste nell’accettare supinamente qualsiasi tipo di evento o il compimento dei fatti, ma bensì educa e favorisce lo sviluppo della capacità di sottrarsi ad eventuali effetti negativi scaturiti da azioni altrui affinché essi si esauriscano in maniera naturale.

Nel caso in cui riuscissimo invece a sconfiggere il nostro avversario recandogli ferite e danni, costui sarebbe mosso dalla volontà di vendicarsi dando così vita ad un circolo vizioso in cui saremmo continuamente esposti all’evenienza di essere nuovamente attaccati. Soltanto tramite il principio di non contrapposizione possiamo giungere alla condizione di rendere vana la voglia e la volontà aggressiva di un eventuale avversario e rimuovere quindi all’origine il presupposto del suo attacco, condizione chiamata dal fondatore 心武, shin bu”.

Tenendo in considerazione quanto detto finora, riscontriamo che l’Aikidō non è quindi finalizzato al combattimento. Nonostante discenda in modo diretto dal Budō giapponesee pur conservando nella sua pratica tutto il bagaglio tecnico di un’arte marziale, l’Aikidō volge tutte le sue attenzioni alle leggi della natura che regolano le dinamiche relazionali fra individui in procinto di dissidio. Quindi sebbene durante l’allenamento vengono simulate circostanze di conflitto e combattimento, l’Aikidō non condivide l’intento dell’uccisione dell’avversario.

Caratteristiche del Dōjō

Dōjō (道場) significa luogo (jō) dove si segue la via (Dō), ma anche luogo per la ricerca della via. Il termine deriva dal Buddismo ed indica il posto in cui è possibile ottenere il risveglio. Viene adottato per la prima volta nel mondo militare influenzato dalla tradizione Zen ed a ciò dobbiamo la diffusione nell’ambito delle arti marziali.

Il termine palestra inteso come spazio dedicato all’esercizio fisico è quindi una trasposizione impropria di Dōjō, perché è la ricerca del giusto atteggiamento attraverso il rafforzamento del corpo e l’apprendimento della tecnica che consente al praticante di progredire.

Il Dōjō non è semplicemente un luogo di pratica, ma è un vero e proprio luogo sacro per qualsiasi Aikidōka. Ogni volta che si entra in un Dōjō, dobbiamo inchinarci rivolgendoci al Kamiza (上座, lett. ‘Seggio della divinità’), in tal modo porgiamo i nostri rispetti a Ueshiba e al Dōjō stesso.

– Il Tatami (畳)
Almeno una volta nella vita ci è capitato di vedere un Tatami, ma nello specifico che cos’è?
Il Tatami è un tipo esclusivo di pavimentazione interna giapponese, composto da pannelli rettangolari costruiti con telai di legno, successivamente rivestiti da paglia intrecciata e pressata. Al giorno d’oggi è raro incontrare qualcuno che non ne abbia mai visto uno, ma nonostante la crescente popolarità di questo maestoso pavimento, poche volte ci soffermiamo sulle caratteristiche spirituali e pratiche che lo contraddistinguono. Ogni lato del tatami ha una specifica definizione e un distinto utilizzo:

KAMIZA LATO NORD (上座, lett. ‘Seggio della divinità’), è il lato d’onore del Tatami, è possibile riconoscerlo grazie alla presenza dell’immagine di Ueshiba. Qui vi si siede il maestro che tiene la lezione, solitamente coincide con il presidente del Dōjō di riferimento.

SHIMOZA LATO SUD (下座, lett. ‘Seggio inferiore’), su questo lato del Tatami si siedono tutti gli allievi, disposti in ordine di esperienza volgendo lo sguardo al Kamiza. Partendo dal fondo del Tatami troviamo gli studenti di grado più alto andando progressivamente a decrescere fino allo studente con minore esperienza che sarà posizionato all’ingresso di esso.

JŌSEKI LATO EST (上席, lett. ‘Posto dei gradi alti’), lato riservato alle cinture nere di alto grado e agli ospiti del maestro volti a visitare il Dōjō. Posizionato ad est, ove sorge il sole, denota il fatto che le persone che occupano un posto su questo lato sono illuminate prima di coloro collocate sul lato opposto.

SHIMOSEKI LATO OVEST (下席, lett. ‘Posto dei gradi bassi’), lato riservato ai principianti della pratica. A differenza del appena esposto Jōseki, questo è il lato dove tramonta il sole e come già menzionato qui vi prendono posto tutti i praticanti novizi.

Durante la pratica dell’Aikidō oltre alle tecniche di Taijutsu (体術, lett. ‘arte del corpo’) vengono impiegati anche il Bokken (木剣, lett. ‘Spada di legno’), il (杖, lett. ‘Bastone’) e il Tantō (短刀, lett. ‘Lama corta’, ossia il pugnale).

Vestiario e gradi

I praticanti di Aikidō generalmente valutano i progressi raggiunti con l’avanzamento attraverso un insieme di ‘gradi di livello base’ (級, kyū), seguito poi da un’aggiuntiva serie di ‘gradi di livello avanzato’ (段, dan), nel rispetto delle procedure d’esame vigenti.
Gli Aikidōka utilizzano solo due tipi di cintura, bianca oppure nera, come metodo per distinguere i praticanti di livello basso da quelli esperti.

gradocoloretipo
kyūbiancamudansha/yūkyūsha
dannerayūdansha

L’uniforme adottata dall’Aikidō è simile a quella adoperata dalla maggior parte delle arti marziali moderne (稽古着, keikogi); semplici pantaloni con una giacca avvolgente, solitamente di colore bianco. I praticanti di Aikidō possono indossare inoltre una particolare gonna con le pieghe chiamata Hakama (袴). Nella maggior parte dei dōjō portare l’Hakama è riservato a coloro che hanno conseguito almeno il grado di 1º Dan o a tutti i praticanti di sesso femminile. Nell’Aikidō non sono consentiti Hakama di colore chiaro, in segno di rispetto verso il maestro Ueshiba, che usava vestire un Hakama di colore bianco. I colori comunemente ammessi di questo indumento sono il nero ed il blu.

Hakama che viene ripiegato dopo la pratica per preservarne le pieghe. ©Dokiai Dojo

Aikidō e sport

L’Aikidō non è formalmente riconosciuto come sport e non vi sono gare o campionati, ma è una forma di allenamento a tutto tondo, il cui già soprammenzionato fine non è la vittoria sull’avversario, bensì la conoscenza ed il miglioramento di sé stessi.

Bibliografia

  • Conoscere l’Aikidō, Associazione di Cultura Tradizionale Giapponese Aikikai d’Italia, 1978:6.
  • Hiroshi Tada Traduzione di Paolo Calvetti, “In occasione del 50º anniversario dell’ascesa al cielo del Maestro Ueshiba Morihei”, Aikido, Speciale Ō Sensei, 2019:14.
  • Phong Dang, Aikido Weapons Techniques: The Wooden Sword, Stick, and Knife of Aikido, Charles E Tuttle Company, 2006.
  • Ratti Oscar, Westbrook, Adele, Secrets of the Samurai: The Martial Arts of Feudal Japan, Edison, New Jersey, Castle Books, 1973, pp. 23, 356–359.