sede centrale della Toshiba

di Elvira Rocco

Toshiba, una delle più grandi e storiche aziende tecnologiche giapponesi, ha annunciato il suo ritiro dalla Borsa di Tokyo dopo 74 anni di quotazione. La decisione è stata presa a seguito dell’acquisizione da parte di un consorzio guidato da Japan Industrial Partners (JIP), una società di private equity, che ha offerto circa 13 miliardi di euro per rilevare il 78,65% del capitale, come riportato dall’agenzia di stampa Reuters.

Questa operazione segna la fine di un lungo periodo di crisi e di conflitti interni che hanno caratterizzato Toshiba negli ultimi otto anni, a partire dallo scandalo contabile del 2015, quando venne scoperto che l’azienda aveva falsificato i bilanci per nascondere le perdite e gonfiare i profitti per circa un miliardo di euro tra il 2008 e il 2014. Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Reuters, a causa di questo scandalo, Toshiba dovette pagare una multa di 60 milioni di euro, cambiare il suo management, vendere alcune delle sue divisioni più redditizie, come quella dei semiconduttori e quella dei personal computer, e affrontare la pressione degli azionisti attivisti, soprattutto stranieri, che chiedevano una maggiore trasparenza e una migliore governance.

Gli azionisti attivisti sono investitori che acquistano una quota significativa di una società per influenzarne le decisioni strategiche e ottenere un ritorno economico. Nel caso di Toshiba, gli attivisti, tra cui i fondi Elliott Investment e Farallon Capital, hanno sfruttato la debolezza del management e la scarsa performance dell’azienda per imporre le loro richieste, come la revisione del Consiglio di amministrazione, la distribuzione di dividendi straordinari, la vendita di asset non strategici e l’accettazione di offerte di acquisizione – ha spiegato in un articolo, il professor Hiroyuki Watanabe dell’Università Waseda. Questo tipo di intervento ha un forte impatto sul capitalismo giapponese, che tradizionalmente si basa su una stretta relazione tra le imprese, i banchieri, i burocrati e i politici, e su una cultura d’impresa che privilegia la stabilità, la lealtà e il consenso.

Il modello di capitalismo giapponese, che ha permesso al Paese di raggiungere un rapido sviluppo economico dopo la seconda guerra mondiale, si è però rivelato vulnerabile di fronte alla globalizzazione, alla concorrenza e alle crisi finanziarie. Per questo motivo, negli ultimi decenni, il Giappone ha cercato di riadattare il suo sistema economico, introducendo maggiori elementi di mercato, pur tra diverse resistenze.

Il caso di Toshiba è emblematico di questa situazione in cui il capitalismo giapponese si confronta con le logiche del mercato globale. Taro Shimada, attuale CEO e Presidente di Toshiba, ha dichiarato in un’intervista con il Financial Times: “Vorrei essere ricordato come il CEO che ha realizzato la rinascita di Toshiba.” Ha aggiunto che non gli dispiace essere ricordato come la persona che ha venduto Toshiba, affermando: “Alla fine della giornata, dal mio punto di vista, voglio rendere grande l’azienda in qualsiasi modo. Sono aperto a qualsiasi tipo di opzione.”

Il ritiro di Toshiba dalla Borsa di Tokyo potrebbe essere visto come una sconfitta per il sistema industriale nipponico, che perde uno dei suoi simboli e vede il suo potere eroso dagli investitori stranieri. Tuttavia, potrebbe anche verni considerato come un’opportunità per il rinnovamento dell’azienda, che potrà concentrarsi sui settori più promettenti, come l’energia, l’infrastruttura e l’elettronica industriale, e per il miglioramento della sua governance, che dovrà essere più responsabile, trasparente e orientata al valore.