la cover con le foto dei registi tatsuya mori e shinya tsukamoto

di Carmine D’Angelo

Inauguriamo con questo post la rubrica ‘Gente di Cinema’ che si propone di rendere accessibili al pubblico italiano alcune testimonianze di ‘addetti ai lavori’ della galassia cinematografica giapponese. Anche questo progetto fa parte delle attività di tirocinio messe a disposizione da L’Altro Giappone, e ringraziamo gli studenti per l’ impegno e la passione profusi nel farlo crescere.

Tatsuya Mori (1) un anno fa nella sua rubrica sul cinema giapponese per Newsweek Japan rendeva omaggio al collega Shin’ya Tsukamoto (2), fra i molti autori che nella seconda metà degli anni ’80 hanno fatto la spola tra la produzione indipendente e quella commerciale (come registi e/o attori) per poter finanziare i propri progetti artistici.

Mori racconta che la prima volta che vide “Tetsuo: The Iron Man”, realizzato da Tsukamoto nel 1989 con un budget di dieci milioni di yen, rimase sorpreso. Anzi, sconvolto: “Mentre lo guardavo continuavo a pensare che solo un genio poteva spingersi  così oltre. Nonostante avesse utilizzato una pellicola in bianco e nero da 16mm quel film superava di gran lunga le altre produzioni indipendenti. In un’epoca in cui di certo non esisteva la computer-grafica, per quasi tutto il film erano presenti effetti speciali molto dettagliati. Non era un lavoro realizzabile senza una forte determinazione.

All’epoca tutti noi utilizzavamo pellicole da 8 o 16mm. Successivamente, con la diffusione delle videocamere digitali e dei mini theaters, sempre più di frequente produzioni indipendenti come ‘Zombie contro Zombie – One Cut of the Dead’ sono state portate sul grande schermo”.

Ma il lavoro su cui Mori ha voluto soffermarsi  è Nobi (Fires on the Plain, 2015)”, per il quale Tsukamoto torna ad una produzione completamente  indipendente (partecipandovi anche come protagonista), candidato per il Leone d’Oro alla 71esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. “Fuochi nella Pianura” narra la storia del soldato Tamura e di altri militari giapponesi che tentano di sopravvivere sull’isola di Leyte nelle Filippine alla fine della Seconda Guerra Mondiale; uomini abbandonati dalla propria patria, che non concedeva possibilità di ritorno, malati e affamati fino allo stremo. Il film è il secondo adattamento dopo la celebre versione di Kon Ichikawa del 1959, tratto dall’opera omonima dello scrittore Shōhei Ōoka (1909-1988), tradotta in italiano proprio come “La guerra del soldato Tamura“.

Secondo Mori la differenza rilevante tra i due lavori cinematografici è la presenza di esplicite scene di cannibalismo nella versione di Tsukamoto, assenti nel film di Ichikawa, e ipotizza che proprio questo aspetto sia la ragione per cui il regista non riuscì a farsi finanziare il film, dovendo quindi produrlo autonomamente.

 

Nel romanzo di Shōhei Ōoka la componente antropofaga è presente e potrebbe essere stata realmente parte delle esperienze estreme dell’autore (all’epoca del secondo conflitto mondiale effettivamente prigioniero di guerra sull’isola di Leyte), sebbene vi siano anche elementi di finzione, sostiene Mori. Come sappiamo Ōoka intraprese professionalmente la carriera di scrittore solo al suo rimpatrio dalla guerra nelle Filippine, e spinto da Hideo Kobayashi  redasse  una sorta di resoconto di quel periodo della sua vita, pubblicato poi col titolo di Furyoki  (俘虜記 Diario di un prigioniero di guerra, 1948) che lo portò a vincere nel 1949 il Premio Yokomitsu. Tre anni dopo uscirà Nobi 野火, (premio Yomiuri).

Mori mette l’accento sulla centralità del suono e sulle limitazioni che comportano le produzioni cinematografiche indipendenti come questa: “È un film che dà grande importanza ai suoni. Il dolore dei proiettili che dilaniano i corpi e l’immagine degli organi che vengono fatti a pezzi sono entrambi rievocati dalla forza dei suoni.

Inoltre le inquadrature ravvicinate sono molto frequenti. La ragione è semplice e risiede nel fatto che le produzioni indipendenti hanno un budget limitato e ciò risulterebbe evidente nei campi lunghi. Per questo motivo quasi la metà delle scene è composta da primi piani di uomini ricoperti di fango, con la barba incolta e il naso gocciolante.”

E a proposito del finale in cui i soldati, sul punto di morire di fame, cercano di uccidersi a vicenda per alimentarsi di carne umana, Mori afferma:  “Vedendolo ho capito che in sostanza è un film di zombie”. E aggiunge: ” I film di zombie appartengono senza dubbio al genere fantasy contemporaneo, tuttavia il tema della guerra che costringe gli uomini a fare i conti con situazioni estreme appartiene anche al mondo reale.”

Un lavoro dunque di forte impatto emotivo, al quale Tsukamoto ha lavorato per vent’anni, che con le immagini e i suoni intende scuotere lo spettatore e far riflettere sulle atrocità della guerra. Lo stesso Mori la definisce Un’opera di dolore, viltà, tragedia e impossibilità di salvarsi. Queste sono le sensazioni che si provano perché così è la guerra”.*

Link all’articolo citato: https://www.newsweekjapan.jp/mori/2021/01/post-16.php

* In una dichiarazione riportata da M.R.Novielli, Tsukamoto stesso afferma: “Sento che il nostro senso di vita si è affievolito di recente, e questo rende la nostra immagine della morte piuttosto oscura. Per contro, significa che ci stiamo avviando in una direzione che ci condurrà alla guerra senza comprenderla del tutto, e questo fa paura.”  (in Novielli, Maria Roberta e De Angelis, Eugenio, Il cinema giapponese dal 2005 al 2015, Macerata, Edizioni Simple, 2016, p. 245)

(1) Documentarista e regista televisivo, Tatsuya Mori nasce nella prefettura di Hiroshima nel 1956. Esordisce come attore prima di trovare notorietà con i documentari “A” (1998) e “A2” (2001), molto controversi al tempo poiché riguardanti la vita dei seguaci della setta religiosa Aum Shinrikyō, coinvolta nell’attentato terroristico alla metropolitana di Tokyo del 1995. Il suo lavoro più recente “i – Documentary of the Journalist” è del 2019 e tratta una serie di scandali legati al governo giapponese scoperti dalla giornalista Isoko Mochizuki, proiettato a Napoli durante la Rassegna de L’Altro Giappone 2020 e presentato dal giornalista Pio d’Emilia, anch’egli nel film.

(2) Regista dall’articolata e muscolare filmografia, di cui cura sceneggiatura, produzione, scenografia, fotografia, montaggio, oltre a esserne talvolta interprete,  Shin’ya Tsukamoto  è sicuramente un autore di culto tra quelli nati negli anni ’60. Esaspera la disumanizzazione della società giapponese mettendola  in rapporto con l’alienazione e le schizofrenie dei rapporti interpersonali – concentrandosi spesso sulle trasformazioni e le fragilità del corpo umano. Il suo primo mediometraggio è “Le avventure del ragazzo del palo elettrico” (1987), cui seguirà il già citato “Tetsuo”; il lavoro più recente è “Killing” (2018). Come attore ha collaborato tra gli altri con Takashi Miike, Teruo Ishii, Martin Scorsese.